Affidamento ed adozione

In primo luogo, per raffrontare i due macro istituti all’interno dei quali poi si possono suddistinguere svariate ipotesi di declinazione, talune di origine dottrinale, talaltra legislativa e per comprendere la fondamentale caratteristica che distingue l’istituto dell’adozione dall’istituto dell’affidamento, occorre introdurre quest’ultimo.

L’affidamento, disciplinato tanto dall’art 2 e ss l. 183/84 che l. 149/01 che ha modificato la prima, interviene allorchè ci si trova in presenza di un minore la cui famiglia si trova in difficoltà temporanea circa la sua cura, intesa in senso complessivo e con particolare riferimento ad aspetti più morali e psicologici, che non materiali. Le difficoltà, a differenza dell’adozione, devono essere di carattere transeunte, quindi, recuperabili in un tempo di congruità rispetto alle esigenze di crescita del figlio, mentre laddove si accerti che la difficoltà del nucleo famigliare originario non sia superabile e recuperabile in tempi compatibili con le necessità di crescita del bambino, anche attraverso sostegni ed interventi di supporto alla genitorialità, la relativa segnalazione del caso conduce all’apertura di una procedura volta ad eventuale dichiarazione di abbandono e la conseguente declaratoria di adottabilità del minore, che apre la strada all’adozione piena o legittimante che elide definitivamente ogni rapporto giuridico fra minore e famiglia d’origine.

Nell’affidamento si individuano innanzitutto due possibili indicazioni a seconda che sia possibile nell’ambito della rete famigliare stessa del minore reperire idonee risorse in grado di assumere il ruolo di affidatari entro il 4° grado di parentela, ed in tal caso vi sarà l’affidamento cd. famigliare, ovvero in mancanza di detta disponibilità o di non idoneità della stessa si ricorrerà al cd. affidamento etero-famigliare, ovvero all’esterno della famiglia del minore.

L’affidamento per legge non potrebbe essere prorogato per oltre 24 mesi, anche se poi detto termine è stato, ed è ancora, in molti casi superato, tanto che è stato coniato il termine di affidamento “sine die” per indicare il “fenomeno” degli affidamenti che si protraggono lungamente nel tempo.

In un passato non così lontano per ovviare la situazione di stallo che questi affidi prorogati senza possibilità da un canto di rientro del bambino nella famiglia d’origine e dall’altra di adozione piena dello stesso, il Tribunale per i minorenni di Bari ha enucleato la creazione dottrinale della cd. adozione “mite” o aperta, che prevede, nell’ottica di salvaguardare le relazioni affettive per quei minori in affidamento da troppo tempo, di addivenire all’adozione semi plena, in cui verrebbero ad essere conservati i rapporti affettivi con la famiglia biologica, pur rescindendosi con questa i rapporti giuridici per l’intervenuta adozione.

L’affidamento può essere consensuale o giudiziale.

Nel primo caso avviene con il consenso spontaneo della famiglia d’origine, è disposto dal Servizio Sociale e viene ratificato dal Giudice minorile, nel secondo caso avviene allorchè, in esito a segnalazioni sia aperta avanti il Tribunale per i minorenni una procedura o di adottabilità ovvero volta ad accertare eventuali ricorrenze di presupposti per la declaratoria di decadenza genitoriale o per la determinazione di limitazioni della responsabilità. L’affidamento giudiziale è’ disposto dal Tribunale per i minorenni ed eseguito per il tramite dei Servizi Sociali.

In detto ambito si possono poi distinguere affidamenti residenziali e diurni, questi ultimi poi disciplinati secondo diverse modulazioni. Nel primo il minore vive stabilmente con gli affidatari, nel secondo rientra a casa la sera e il tempo che trascorre con gli affidatari può essere anche solo limitato ad alcuni giorni o a determinate fasce orarie rispetto alle esigenze emerse.

La finalità dell’affido è quella di consentire quanto più possibile e quanto prima il rientro del bambino nella propria famiglia, conformemente ai principi nazionali e sovranazionali in materia che eleggono quale luogo ove debba svolgersi la crescita di ogni bambino la propria famiglia d’origine, vedendo quindi sempre quale scelta residua e sussidiaria quella dell’adozione, per gli effetti rescindenti della stessa sul legame giuridico, come affettivo con i genitori biologici.

Esiste, poi, l’affido preadottivo: esso rappresenta una fase necessaria del procedimento di adozione, non surrogabile dall’affidamento provvisorio o di mero fatto.

Prima di giungere ad una pronuncia definitiva di adozione, si deve accertare, infatti, l’effettivo positivo inserimento del minore nella famiglia adottiva, imponendo un “periodo di prova” in cui viene monitorata la nuova situazione in relazione all’interesse del minore. Durante questo periodo bambino e famiglia vengono seguiti dai Servizi socio-assistenziali che riferiscono sull’andamento della relazione all’autorità giudiziaria attraverso relazioni. Ha in genere la durata di un anno, ma può essere prorogato in casi di particolare difficoltà.

Affidamento a rischio giuridico

Si tratta di un affidamento eterofamiliare, predisposto dal Tribunale per i Minorenni a favore di minori, nei cui confronti è stata aperta una procedura di adottabilità che non risulta ancora definitiva, poiché pende solitamente un secondo grado di merito, attraverso reclamo presentato dai parenti del minore, ma anche dal Pubblico Ministero Minorile, ovvero dal Curatore Speciale del minore avanti la Corte d’Appello sezione minori, ovvero di legittimità con ricorso in Cassazione.

Gli affidatari vengono individuati dal Tribunale per i Minorenni fra le coppie che hanno presentato offerta di disponibilità all’adozione nazionale e che sono stati successivamente valutati positivamente. Il Tribunale abbina, attraverso un esame comparativo, la coppia ritenuta più adatta al bambino in attesa di una famiglia. L’affidamento “a rischio giuridico” è stato istituito dal Tribunale per i Minorenni di Torino e regolamentato con uno specifico protocollo d’intesa con la Regione Piemonte (circolare 6/ASA 1985) e successivamente disciplinato dalla D.G.R. sugli affidamenti familiari del 17 novembre 2003.

Agganciandosi a questa tipologia di affido non si possono non menzionare le cd. famiglie “ponte” cui molto frequentemente possono essere affidati i minori all’apertura di una procedura di adottabilità, in genere quando sin dall’inizio si presenti come molto compromessa la possibilità di recupero della capacità genitoriale dei genitori biologici, ed in presenza di minori di tenera o tenerissima età che, nel tempo necessario – in genere di breve durata (la Raccomandazione 110.2 del Ministero lavoro e politiche Sociali parla di 8 mesi al masimo)- a valutare le capacità genitoriali, nonché a reperire una coppia in possesso dei requisiti per l’eventuale adozione, possa evitare al minore di essere inserito in struttura di protezione, tipo casa-famiglia etc, in cui lo stesso potrebbe subire una carenza di nutrimento emotivo-affettivo, proprio per la mancanza di un’attenzione ed una cura a lui esclusivamente riservata e soprattutto per garantire in tempi rapidi la stabilità di figure di attaccamento.

Avv. Alessandra Poli